Luoghi di culto

Ultima modifica 18 ottobre 2024

Chiesa di San Giacomo
Antica Chiesa con fondamenta romaniche e presenza di tombe ipogee. Notevole il cinquecentesco coro ligneo con 20 stalli, restaurato nel 2014, gli affreschi della cappella di San Giacomo e l’affresco della Madonna col Bambino (1537). Si noti sul sagrato (fino al 1950 all’interno) il sarcofago in serizzo contenente un tempo il corpo di un notabile e monete cinquecentesche dell’epoca di Carlo V, di fianco a mezzo coperchio di un altro sarcofago. La leggenda locale vuole che all’interno fosse custodito il corpo di San Giacomo, che Sant’Eustorgio trasportò da Gerusalemme a Santiago de Compostela. Accanto si erge la colonna in memoria della scampata peste del 1630. All’interno sono presenti antiche lastre tombali e sulla parete del campanile, in sacrestia, si trova il più antico affresco della Chiesa, raffigurante un santo con aureola. Di pregevole fattura è la Pietà del 1577 a destra dell’altar maggiore, con paliotto in scagliola di marmo.
La leggenda narra che, transitando l'Arcivescovo di Milano S. Eustorgio nel 512 nei pressi di Zibido, depose il corpo di S. Giacorno Apostolo. Per l''occasione venne costruito un santuario attorno al quale, per l''arrivo di pellegrini, si aggiunse un gruppo di case. La storia comunque ritiene molto antico il tempio, forse di epoca paleocristiana almeno in quanto a fondazione, fu chiesa sussidiaria di Zibido, più antica, che apparteneva alla pieve di Decimo. In questa chiesa si inserì la leggenda della sepoltura del corpo di S. Giacomo Apostolo, ma non si sa bene come.
Distaccatasi la chiesa dalla pieve di Decimo, nel Quattrocento divenne parrocchia. Quando i Padri Carmelitani di Mantova ottennero nel 1517 il permesso dalla S. Sede di fondare un convento in luogo, la chiesa era già parrocchiale e questo lo afferma la Bolla Pontificia. Caso più unico che raro per quei tempi, una parrocchia affidata a sacerdoti secolari divenne cura d''anime a carico di religiosi. Un documento del 1568 descrive minuziosamente la parrocchia: " 3 agosto 1568... in p( rima) vi ਠS. Jacopo cura principal nella quale se vi stano due religiosi omaneti. Duoi celebrati, uno parochiano l''altro coaiuto et doi gnesi (chiese) se vi contiene i cappelle con XI altari et uno scuriolo et tutto i bellissimo volta; pur ਠsenza beneficio. Il tutto dal levante vi cohra Zibid distat la mità  d''un miglio; dal megio dì ਠPioltino nella sudetta distanza, ad occidente... dista un migliarolo. Vi ਠuna belliss sacristia co'' il suo campanile sop il quello vi sono due ottime campane et ha la sudetta cura cinq terre qual qui sottoscritte: - S. Jacopo cure ia tera appo la chiesa parochial nel territorio vi sono numero di fuochi 8 le persone sono numero 55. Di quelle comunis n. 36, i quali non se comunicano sono i numeri ai 9... ". Continua il documento a parlare delle chiese succursali di cui una dedicata a S. Ambrogio, a circa un quarto di miglio dalla parrocchiale, con 88 persone residenti. Un''altra cappella, sempre dedicata a S. Ambrogio, era a Famegro e gli abitanti erano 126. A Vigoncino i residenti erano 143. In tutto i parrocchiani erano 521 compresi anche nelle cascine senza chiesa. Proseguiva poi il parroco, Fra Angelo Perreto: " ... già nella sudeta parrocchia vi sono due suddete scole, una dil SS. Sacramento, l''altra della S.ma Vgene et Mre di Jesù.Nella prima vi sono hmi 49 e donne 68, nella sda vi sono hoi 21 donne 54. La prima fa la sua procesione intorno alla piazza qual ਠsituata avanti la soprascritta chiesa. La sda la fa nel medesimo luoco... ". In quella relazione ed in un''altra, molto meno precisa, si conosce che Gio Angelo Fenino di Vigonzino aveva assalito a colpi di pugnale un abitante di Binasco e che quindi non era ammesso ai sacramenti. Nella relazione del maggio 1568 si dice che le cappelle erano 4 e precisamente a Viano, Femegro, Madrugno e Vigonzino. La parrocchia comprendeva le cascine di Vigonzino, Mandrogno, Mainardi, Femegro, Viano e Malpaga. Confinava con quella di Badile, Conigo, Mairano, S. Pietro Cusico e Zibido. I paesi di Conigo e Mairano appartenevano alla pieve di Rosate. Una relazione del 1573 ci presenta una pianta della chiesa, probabilmente ingrandita ed abbellita dopo l''arrivo dei Carmelitani: " Fatta tutta quanta in volta de muro biancato in trei nave... di dentro sono 6 pironi che contengono sei cappelle co li suoi altari in volta, cò quattro lunetti depinti. Li altari sono come si colnclusa pianta. Il campanile nell''ingresso alla sacrestia... il battistero ਠaccomodatora psso un pirono detro all''ingresso... no vi ਠcimiterio ". Ci sono tre ingressi, non viene menzionata l''arca dei presunti resti di S. Giacomo.
Attualmente la chiesa è stata restaurata e ne vennero alla luce dipinti di Bernardino Luini raffiguranti s. Alberco e S. Giacomo. Ottimo dipinto quello della Madonna datato 1537. Nell''abside il simbolo dei Carmelitani finemente intarsiato. Nel 1573 non c''erano tombe nella chiesa. In quell''anno sorse una lite tra i P. Carmelitani e Gio Battista Osio, proprietario dell''osteria situata sulla piazza davanti alla chiesa. L''Osio organizzava balli sul piazzale ed i Padri tramite il Vicario Criminale l''avevano diffidato a proseguire, diversamente avrebbe dovuto pagare una ammenda di 50 scudi. Il padre di Gio Battista, Arcangelo Osio, aveva vantato circa 40 anni prima i diritti di proprietà della piazza, protestando contro i frati perchà© avevano tagliato i rami ad alcuni olmi esistenti in essa. I frati avevano portato in giudizio tale Angelo Mainaldo che, deponendo in giudizio la sua versione, ci ha dato notizie interessanti al riguardo lo sviluppo del tempio. Costui asserì che il cimitero esistente davanti alla chiesa era stato dissepolto per l''ampliamento del tempio, proprio dopo l''arrivo dei frati. Venne anche a risultare che sul luogo c''era una vecchia chiesa. Nel 1591 il prevosto di Lacchiarella viene a far visita per controllare se gli ordini di S. Carlo del 1573 erano stati osservati e precisamente se era usato il rito ambrosiano dai frati, se era restaurato il battistero ed era collocato il lavandino in sacrestia. Nella relazione di Mons. Bracciolino del 1597 si parla ancora di questi vecchi argomenti, si dice che davanti alla chiesa funzionava il cimitero, gli abitanti erano circa 400, vi erano le scuole del S. Rosario e del SS Sacramento, quest''ultima istituita da S. Carlo nella sua visita pastorale del 1573. Il visitatore si recava a Vigonzino a visitare la chiesa di S. Teodoro nella quale non si celebrava, visitava pure le chiese di S. Ambrogio e di S. Bartolomeo in Viano che trovavano molto ben tenute, in esse si recavano i frati per celebrare le messe. Pochissimi i legati, tra cui uno in suffragio di certo Scaccabarozzi morto nel 1582. La parrocchia rimase in mano dei Carmelitani fino al 1770, quando il convento fu soppresso dall''Imperatore Giuseppe II d''Austria. Alla partenza dei frati si pensò di aggregare la comunità a Zibido, ma venne lasciato in luogo il frate che era parroco. Alla sua morte nel 1801 si ripropose il problema, ma il parroco di Zibido non ne volle sapere, allora la Curia inviò un sacerdote secolare che la prese in consegna dopo quasi trecento anni di esercizio regolare dei Carmelitani. Questi trovò 430 anime ad attenderlo, una popolazione contadina che ogni anno ruotava anche se come quantità era sempre uguale; infatti nel 1723 erano 431 parrocchiani, divisi in 82 famiglie, nel 1750 erano 446, nel 1790 erano 440. Come in tutti i luoghi qui la mortalità infantile era rilevante.
 
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo
Da diversi documenti del XII secolo risulta che in "Cuxico" c''era la chiesa di "San Petri", dipendeva dalla pieve di Decimo, dalla parrocchia di Zibido e probabilmente nel "Quattrocento" divenne parrocchia. Con certezza lo era nel 1534, in quanto in un documento del novembre dello stesso anno, che tratta di alcuni beni immobili sopra i quali gravava un livello a favore di detta chiesa, si accennava alla locale cura d''anime esercitata dal suo Rettore (parroco) don Andrea Bianchi. Verso il 1570 il suo territorio confinava con Zibido, Mairano, Tainate, Barate, Gaggiano, Trezzano e Romano Banco. Uno stato d''anime dell''anno ci offre questa panoramica di popolazione:

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La cassina Camuzana (Camuscione), contesa tra Gaggiano e S.Pietro Cusico, è di epoca "quattrocentesca" e dai documenti risulta sempre sotto Gaggiano, oggi è sotto S. Pietro Cusico. Anche la parrocchia di Moirago pretendeva tale cascina, in quanto lambiva i confini dei suoi terreni, ma si pensa che verso il "Seicento" un controllo della Curia abbia risolto le discussioni. La parrocchia di S. Pietro Cusico, calcando i confini di una vecchia grangà¬a certosina, era molto vasta di territorio e di proprietà . Si tramanda che detti frati della Certosa di Pavia abbiano bonificato i territori, ma di questo non si sono trovati documenti. Un censimento di beni patrimoniali del 1573 ci offre questa situazione molto florida per la parrocchia in quel tempo. Una casa contigua alla chiesa con cascina e piccola stalla, attorno due giardini di circa sei pertiche di terreno, con cortile, pozzo e forno, che confinavano con il torrente Moggio e le terre delle Monache di "S. Paolo convertito", di proprietà  Torrigi Antonio e Cerri Andrea. Una casa contigua alla chiesa con tetto di tegole ed in parte di paglia, sita vicino al fiume Moggio, che ancora scorre tranquillo con acque limpide.Un terreno denominato la "Pasturazza" di circa 18 pertiche, posto in S.Pietro Cusico, vicino alle terre di Cristofaro Daleni, detto il Rosino. Livello di L. (2) 196,1 che Franco Brasca pagava nel giorno di S. Martino ed alla festa della Resurrezione per un terreno in S. Pietro denominato " la Prebenda ". Livello di 4 lire pagato dai fratelli De Omodei per un terreno non specificato.Livello di Lire 2 circa pagato da Angelo Sacco per l''uso di una roggia chiamata " La Nova ". 
Vari livelli pagati dai fratelli Magattini dal 1535 per una somma di circa lire 20 su diversi terreni. Livelli vari pagati da Parpiano su certi piccoli terreni, dal 1517. Livello di lire 5 a carico di Moinaga che doveva alla cappella di S. Novo, sussidiaria della chiesa parrocchiale. Lo stesso era proprietario di alcuni vigneti che producevano buon vino. Livello di lire 5,9 ed in natura (polli, capponi, ecc.) per un terreno nel territorio di S. Pietro. Non è specificato, forse per dimenticanza, il casato di chi aveva questo carico. Livello in denaro ed in natura pagato da Bio Maria ( ? ) detto l''Agribone, per un terreno coltivato a vigneto. Livelli vari pagati da Cristofaro Briancini dall''anno 1514, da Batta Barretta, da Baldassare Carrera dal 1517, da Andrea Cerro, Fratelli Bollate, Torrigi, Corro e Andrea Broggi. Interessante la descrizione del 1517 qui sottoriportata alla lettera: "... funeralibus un scudo, la cera co'' preti settimi la pagano 12 corpo setti 10..."; e poi: "... li funerali quando non comprano, cera dano uno scudo, quando poi portano la cera loro, la paga doppia... ". Ancora veniva scritto - ed era certamente il parroco -: " ... quattro candelotti al corpo, otto al settimo, candele n. 5 alla croce, una candela p(er) prete, ... ".

Chiesa dei Santi Vincenzo e Bernardo
La piccola chiesa dei Santi Vincenzo e Bernardo è in realtà uno dei gioielli del comune. Costruita ai primi del 600, presenta un interno suggestivamente affrescato. Una lapide ricorda i benefattori di un restauro eseguito nel 1829, fra cui si ricordano i Salterio, i Melzi d'Eril ed i Visconti di Modrone. La fondazione del beneficio parrocchiale della chiesa dei SS. Vincenzo e Bernardo di Moirago risale al 7 maggio 1610 per smembramento della parrocchia di Badile.
Nel 1569 in Moirago c'era un cappellano di nome Ambrogio de Ciseri che beneficiava di una annuale sottoscrizione tra i parrocchiani del villaggio e delle cascine vicine. Nel 1587-88 gli abitanti incominciarono a chiedere lo smembramento da Badile e lo ottennero l'8 agosto 1588. La comunità parrocchiale si impegnò a versare al parroco lire 360 imperiali annue a cui si aggiunsero altre 100 del legato Caimi, famiglia che possedeva la maggior parte dei terreni del luogo. Il rogito fu fatto dal notaio di Milano Gio Batta Gorgonzola. Il primo parroco fu il sac. Bernardino Speciolo che morì quasi subito ed a lui subentrò per elezione popolare il sac. Bartolomeo Crivelli.
Un interessante documento, ritrovato nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, dice che ci fu una intenzione di inserire la parrocchia di Moirago nella pieve di Rosate, nel tentativo di annettere a Moirago alcune cascine di Gaggiano e di Zibido, e precisamente il Boscaccio, il Dosso ed il Camuscione. Il documento specificava che Moirago era ad occidente di Lacchiarella, da cui distava tre miglia, era confinante con S. Pietro Cusico, Basiglio della pieve di Locate, Badile, Zibido, Romano (Romano Banco), Assago e Rozzano. Qualche anno più tardi, e precisamente il 3 luglio 1597, si recava a Moirago il Visitatore Diocesano Mons. Bracciolino, proveniente da Campomorto, e conduceva con sé il notaio per la relazione. Veniva visitato il SS. Sacramento che era riposto in una pisside argentata, il tabernacolo era di legno ed il SS. Sacramento era portato fuori di chiesa in processione attorno al cimitero ogni prima domenica del mese. Il battistero era situato a sinistra dell'ingresso in una cappella tutta dipinta.Il vaso per l'acqua santa era rotondo e di materiale siliceo. Il battesimo era amministrato diligentemente. In parrocchia non c'erano né interdetti, né inconfessi e nemmeno persone ignoranti in fatto di religione. L'altare maggiore aveva una mensa di legno, in essa era inserita la pietra sacra ed era ornato di un pallio argentato. Ai lati dell'altare c'erano due angeli e quattro candelabri. L'altare era diviso dalla navata da una "bradella=cancellata" in legno. La cappella dell'altare maggiore era tutta dipinta ed una finestrella le dava la luce. Ai lati dell'unica navata c'erano i dipinti di Cristo, della B.V. Maria, di S. Bernardino e S. Vincenzo situati nelle varie cappelle laterali. Il pavimento era fatto in mattoni, ben sistemati. La chiesa non era consacrata. Esisteva un legato disposto da Bartolomeo Caimi, esteso anche ai suoi eredi. La festa patronale era all'll di gennaio, in cui si commemorava S. Vincenzo; a tale festa intervenivano tutti i sacerdoti della pieve con il prevosto di Lacchiarella. Non esistevano nella chiesa sepolture : "sepulturae nullae". La chiesa aveva due porte, la " major " per il popolo, la " minor " per il solo parroco. C'era un solo confessionale, un campanile con due campane e la chiesa possedeva molti arredi sacri. Il cimitero era antistante alla chiesa, in esso c'era una grande croce. Il numero degli abitanti era di 350 di cui 200 in età di comunione. Un''altra festa era celebrata il 20 agosto a S. Bernardo. Nel 1582 venne fondata la scuola dei Disciplini, due anni più tardi quella del SS. Sacramento e più tardi ancora quella del S.Rosario. Nel 1792 Papa Pio VI concesse per sette anni l''Indulgenza Plenaria, applicabile ai defunti, alla chiesa del villaggio per il giorno della Comunione Generale. Gli abitanti oscillarono sempre tra i 500 ed i 300 fino ai nostri giorni. Il Visitatore terminava così la sua relazione: "La chiesa ਠdi pareti antiche, fatte di materiale inferiore, la facciata con un piccolo portico avanti sostenuto da stessa facciata da un capo, dall''altro da due colonne di migliarolo. Ha una sola porta proporzionata alla grandezza della chiesa ed ha portico che guarda verso occidente. Dalla porta fino alla roza (rozza) balaustra ਠlonga braccia 18, larga braccia 11 e mezzo fino al soffitto di legno dipinto. Braccia 8 et once 9 dalla balaustra fino al muro posteriore del coro...".Il Visitatore scriveva ancora delle note al riguardo della cappella della B.V. Maria, situata a destra rispetto all''ingresso, che aveva pareti dipinte raffiguranti angeli e la volta con una Madonna di "bellezza stimabile". Seguiva la descrizione del battistero, del campanile alto 43 braccia, degli arredi sacri e dei libri d'archivio. La parrocchia di Moirago ebbe pochissimi benefici e talvolta per decine d''anni consecutivi nulla di nulla. Nel secolo scorso, con testamento, Gerolamo Longhi lasciò 700 lire austriache annuali per un sacerdote coadiutore. Morto il Longhi, la sua volontà venne rispettata dagli eredi ed il primo coadiutore si presentò il 23 marzo 1847.

Chiesa di Santa Maria Nascente
La piccola chiesa di Santa Maria Nascente (edificata nel 1533), in località Badile, è divenuta famosa localmente soprattutto per annoverare tra le proprie opere anche una Sacra Famiglia della cerchia del Botticelli. La Parrocchia comprende le cascine Pioltino, Mentirate, Casiglio e Badile. Badile, un tempo frazione del comune di Binasco, che appartiene alla diocesi di Pavia, attualmente è frazione di Zibido S.Giacomo, pur essendo pendente presso la Regione Lombardia la pratica per diventare autonomo. La sua vita civica è orientata verso Binasco per lavoro ed attività varie, ma ecclesiasticamente è inserita nel decanato di Cesano Boscone e desidera orientarsi verso quello di Rozzano. La fondazione del beneficio parrocchiale della chiesa di Badile, dedicata alla Natività di Maria Vergine, risalirebbe presumibilmente al principio del "Quattrocento" per smembramento della parrocchia di Zibido S. Giacomo. Non sono stati ritrovati documenti al riguardo, ma solo una annotazione sopra i libri anagrafici parrocchiali di Zibido, che ribadisce questa tesi, ma non menziona nessuna epoca. Probabilmente con l''inizio della costruzione della Certosa di Pavia, la Curia Arcivescovile di Milano ha dato una ristrutturazione territoriale nuova alle parrocchie della zona in quanto avrebbero senz'altro sentito il beneficio del lavoro dei Certosini, magari fondando parrocchie nuove. Un documento senza data, ma certamente dell''epoca di S.Carlo dice: "Nella chiesa parrocchiale de S. Maria de loco Badiglio over Badej..." e più avanti menziona la chiesa di S. Maria al Pilastrello con cappellano residente, di S. Vincenzo di Moirago con un cappellano mercenario. Nel 1573 S. Carlo visitava la parrocchia ed ordinava al parroco di accomodare il battistero, di recintare il cimitero con muro, di usare l''abside come coro e non come sacrestia, che deve essere costruita. Inoltre si dovevano fare le balaustre attorno agli altari, pavimentare e soffittare la chiesa e costruire il campanile. Alla comunità di Badile veniva raccomandato di accomodare le strade per rendere più agevole il cammino del curato, quando si recava a visitare gli infermi nelle cascine. S. Carlo ordinava al parroco di vendere 5 pertiche di terreno ai Frati della Certosa di Pavia (era coltivato a riso e confinava con i loro terreni) e, con il ricavato, di costruire la casa parrocchiale. Raccomandava di eleggere i priori della Confraternita del SS. Sacramento ogni anno, di tenere in ordine i libri contabili e di seguirne le norme; si asteneva dal riconoscerla giuridicamente, forse, per incertezza di buona volontà degli aderenti.
Al riguardo della chiesa di S. Maria al Pilastrello ordinava una miglior collocazione della statua della Madonna, cercava di sbrogliare un "pasticcio" annoso in relazione alle colonne trasportate a Milano nella chiesa di S. Nazario in Brolo, con patto di restituzione delle stesse in caso di bisogno ed altre raccomandazioni generali. Alla fine di quel secolo Badile con Zibido e Moirago appartenevano alla pieve di Lacchiarella. Una descrizione accurata della parrocchia di Badile viene fatta dal Visitatore Diocesano Mons. Bracciolino, che arrivò a Moirago il 4 luglio 1597. Il SS. Sacramento è conservato in una pisside argentata, custodita in un tabernacolo di legno. Il battistero è costruito in forma rotonda e collocato in una cappella dipinta con raffigurazione di S. Giovanni Battista. L'altare maggiore è disposto "ad orientem", è in legno con inserita la pietra sacra, come ornamento ha quattro candelabri, cinque angeli, una croce ed a retro una tela con Madonna e Bambino Gesù. La cappella dell''altare maggiore è oscura e mal fatta. Nella parete meridionale della chiesa c'è una cappelletta con nicchia alla parete e sopra una finestra. La cappelletta è stata costruita da Alessandro Ruide con intenzione di dotarla di cappellania. La chiesa ha un''unica navata, " cuius fundationis dies ignoratur", non è consacrata ed è festeggiata l'8 dicembre, giorno in cui allora veniva solennizzata la Natività di Maria. In quel giorno convenivano a Badile quattro o cinque sacerdoti che celebravano con il parroco, che poi offriva loro il pranzo. Il pavimento della chiesa è in cemento, sotto due sepolcreti ed il soffitto alquanto rovinato nel fondo dell''edificio. Le porte erano due, una principale in forma quadrata nella facciata della chiesa, l'altra, usata dal parroco, era situata nella parete settentrionale. Un'unica finestra era aperta sopra la porta principale. Non c'era sacrestia. C'era un solo confessionale. Dopo un lungo elenco di paramenti, si dice che il campanile era stato costruito nella parte settentrionale della chiesa ed aveva due campane. Attorno all''edificio sacro c'era il cimitero, ma era mal recintato. Seguiva poi la descrizione dei beni della chiesa, che consistevano in un centinaio di pertiche di terreno, ancora proprietà della parrocchia al 1597. Parlando dei legati, Mons. Bracciolino annotava quello di Ambrogio de Sconibi di Mentirate, che rendeva 10 libbre per ogni "officio" celebrato a salvezza della sua anima, legato rogato dal notaio Gio Battista Tessera il 5 novembre 1586. Un altro legato era di Battista Repossi di Conigo, i cui eredi dovevano corrispondere dal 1585 un "annual" non ben precisato, in cambio di preghiere. Seguiva un elenco di altri legati, ma di minore entità. La Scuola della Dottrina Cristiana e del SS. Sacramento, tra uomini e donne, contava ben 50 persone; priore era Francesco Airone. Dopo aver visitato la chiesa di Badile, Mons. Bracciolino visitava quella di Mentirate e faceva la sua relazione che qui portiamo per brevi cenni. Detta chiesa, in forma quadrata, era dedicata a S. Francesco, era costruita male, aveva l''altare in legno con pietra sacra. La messa veniva celebrata quasi mai. La chiesa di S. Maria al Pilastrello aveva un altare unico, con quattro candelabri. Ai lati aveva due finestrelle, sopra la parete era dipinta una Madonna con Bambino e sui lati due angeli. Suo cappellano era don Giovanni Cainarca che era succeduto a don Andrea Gambari, morto da poco. La sopravvivenza di questo cappellano era dovuta a certi cespiti di terreni parrocchiali esistenti attorno alla chiesa e ad un livello di 21 libbre e 12 soldi pagati da Antonio Malabarba di Milano il giorno di S. Martino. Questa chiesa aveva il campanile, la sacrestia piccola ed oscura, due porte ed il pavimento. Era chiamata del "Pilastrello" perchè la statua della Madonna era collocata di fronte ad una piccola colonna, ivi trasportata da qualche chiesa preesistente. Durante la peste del 1630 il parroco ne fu contagiato e morì.Al principio del "Settecento" Mentirate ebbe sviluppo di edifici ed aumento di abitanti e cercò di diventare una parrocchia autonoma. Gli abitanti però non riuscirono nel loro intento e per parecchio tempo la parrocchia ebbe la denominazione di " Badile e Mentirate". La cascina di Mentirate un tempo era una grangia certosina, vi era un castello, la chiesa abbaziale con cimitero. Interessanti reperti archeologici dell''epoca dei Visconti ci dicono quanto fosse importante questa località.La sagra era alla quarta domenica di luglio. Venne eseguito un restauro alla chiesa ed al coro e fu edificato il campanile. Più tardi venne ampliato l'edificio e si trasferì il cimitero a circa 500 metri di distanza. Nel 1965 furono riordinati i confini parrocchiali a causa del passaggio dell''Autostrada dei Fiori.

Chiesa di Santa Maria Assunta
La Chiesa, ad un’unica navata con due cappelle laterali, risale al Quattrocento. Notevole è la Cappella della Madonna, che conserva una statua lignea della Vergine, circondata dalle magistrali formelle dei Misteri del Rosario. Pregevole la fattura dell’organo sopra il portone d’ingresso. La settecentesca colonna in serizzo sul sagrato, con la croce soprastante, indicava l’antica presenza di un cimitero nel giardino adiacente alla Chiesa. Sul retro si può notare la casa dell’orologiaio, con lo gnomone di un’antica meridiana solare oggi perduta.
 
Chiesa di San Carlo Borromeo
Carlo Borromeo fu uno dei personaggi più contraddittori del suo tempo: il popolo dei devoti ne fece un santo, la schiera degli avversari lo definì fondatore di una teocrazia dispotica. Nel 1885, a Milano circolava un libello che lo descriveva come un Torquemada dirozzato, un fanatico che volle trasformare la città in un convento, un persecutore che non risparmiò «tenaglie, ruote e corde». Per poter cogliere l'immagine vera di San Carlo si è fatto ricorso non agli elaborati documenti ufficiali, ma a quella fonte genuina che scaturisce limpida dal cuore e dalla mente di un uomo: la corrispondenza privata. Le lettere indirizzate alle sorelle, e in particolare alla sua prediletta Anna, hanno permesso il controllo ravvicinato di eventi e date, la scoperta di notizie non filtrate dal prudente riserbo o manipolate da redattori ne mutilate e deviate da silenzi arbitrari e interessi di parte. Questa «fonte diretta» di informazione ha fatto sì che si potessero correggere e aggiustare episodi, sfatare leggende, chiarire lati oscuri. Un contributo importante proviene inoltre dalle «minute», perché frequentemente san Carlo scrive o detta di getto, ma poi ci ripensa, revisiona e dietro le cancellature, le correzioni o le aggiunte, si intravede il suo pensiero più vero, quello che non fu soffocato dalla sua notevole capacita di autocontrollo. Nella sua funzione di governo fu determinate e impassibile tanto da essere chiamato “l'uomo di ferro”, “il martello degli eretici”; ma nelle lettere famigliari appare intriso di umanità, si permette abbandoni e tenerezze, si lascia coinvolgere dall'ansia o dal rancore. La corrispondenza ci fa incontrare un Carlo che si dichiara orgoglioso del colore della sua porpora perché rosso sangue, quasi un annuncio di martirio, e un altro Carlo che, confuso e triste, confida le proprie angosce; un uomo sul cui volto non appare mai né un sorriso, né una lacrima, e un altro che, quasi materno, si intenerisce davanti a una nipotina in fasce. L'indagine sull'uomo comune che sonnecchia sotto la ruvida tunica dell'asceta non intacca l'immagine del santo; anzi, fa nascere in noi, oltre allo stupore per la sua grandezza, un'affettuosa simpatia che ce lo fa riconoscere come uno di noi. È di Carlo, non di san Carlo, che questa libro vuole parlare.

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